Ulan Bator (in mongolo
Улаанбааτар, traslitterato
Ulaanbaatar) è la capitale e principale città (548.400 ab.) della mongolia...
mi spiace, ma io non lo sapevo! è a 1350 metri sul livello del mare...
sono passata davanti alla palestra che ho frequentato per 2 o 3 giorni in vita mia, al tempo della mia malinconica preadolescenza lievemente sovrappeso. è un edificio impossibile, un po' alla escher: praticamente sospesa, contro ogni legge fisica e del buon senso, nell'abusività (o nell'abusivismo che dir si voglia) e abbandono più totale, tra un ponte ed un tunnel.
sul ponte passano i treni che entrano in città, nel tunnel si infilano le macchine che vanno verso la zona industriale. a fare che, non ne ho assolutamente idea, visto che, in quella parte della città, non c'è veramente nulla.
comunque, per farla breve, da sopra si entra, e da sotto si esce...
niente di più lineare. niente di più facile!
se non fosse che io ho sempre avuto paura di quel tunnel! mi spiace, non ne posso fare a meno... quando lo vedo tremo. al solo passare di fronte alla sua grande imboccatura nera, mi sento gelare. se sono in macchina con qualcuno e ci entriamo, mi zittisco. di schianto, con una frase a metà.
ricomincio a parlare solo quando ne siamo fuori.
non so perchè succede, ma ho paura!
forse perchè, quando il treno passa sul ponte, rallentando perchè stà entrando in città, e tu sei là dentro, a piedi, in quella luce arancionata, attorno trema tutto. e sembra che il tunnel ti stia collassando sulla testa.
o forse perchè mio padre ci urlava dentro, nel tunnel, ogni volta che ci passavamo insieme in moto, quando io ero piccola. non lo faceva per crudeltà... voleva sentissi l'eco. pensava di divertirmi.
ma io mi aggrappavo forte forte con le manine ai lati larghi e slabbrati del suo maglione di lana grossa, e affondavo naso e fronte nella sua schiena. e rimanevo lì.
chiudevo gli occhi e mi tenevo stretta stretta stretta, mentre i mostri del tunnel mi ruggivano nelle orecchie. mi staccavo solo quando ricominciavo a sentire la città rumoreggiare e sgommare e scoppiettare come sempre. e sapevo di essere uscita.
mio padre rideva, sentivo la sua grande schiena tramare e vibrare. lui si divertiva.
io mi cagavo sotto anche l'anima, ogni volta!
forse è dentro quel tunnel che è iniziata la mia claustrofobia!
oggi ero in bici...
ebbene si! non ho una macchina, non ho un motorino, non voglio farmi scarrozzare ogni santa volta... quindi ho deciso di fingermi ecologista per darmi un tono, e mi sono fatta la bici (vedi: la soluzione era facile!)...
oggi, quindi, ero in bici: dovevo andare dall'altro lato della ferrovia.
normalmente avrei fatto il giro del mondo, aspettato 2 ore ai passaggi a livello, passato mezzo quartiere contromano, superato 5 o sei occasioni di morte...
ma stavolta no:
stavolta ho pensato e se prendessi il tunnel?
ho allentato mollemente un braccio basculante sulla destra, per girare in direzione del tunnel (io sono civile, io metto la freccia, quando vado in bici...).
mi è scivolato un anello.
sono scesa dalla bici e ho perso un'ora per cercarlo, causando ilarità negli avventori del barsport. (perchè le cose più squallide mi succedono sempre 'nfaccia al bar dello sport?!)
ho continuato caparbiamente a cercare l'anello.
non l'ho trovato.
ho bestemmiato pesantemente la madonna e sant'anna, causando sbigottimento negli avventori del suddetto barsport.
sono risalita in bici fingendo tranquillità, ma affilatamente soddisfatta della mia intrinseca blasfemia.
e non mi sono arresa di fronte ai segnali avversi del fato: ho preso la via del tunnel.
sono arrivata all'imboccatura, c'era di tutto: monnezza, motorini taroccati cinesi, macchine contromano, ruderi di vecchiette malferme sui loro girelli cigolanti, macchie d'olio a terra, pozzanghere fangose di imprevedibile profondità, operai rattusi parcheggiati con fare nullafacente lungo il marciapiede... insomma: nù burdell esagerato!
ma, soprattutto, e non dimentichiamocene, c'era l'imboccatura del tunnel...
nero. nerissimo!
con le sue piccole luci arancioni.
ma profondamente e decisamente nero!
ho deglutito qualcosa che aveva un sapore simile all'alito del mio gatto e mi ci sono infilata dentro. sono andata nel pallone, mi sono persino scordata di tirare il freno quel tanto che basta per non trasformarmi in un missile terra aria.
per una attimo sono stata quasi indecisa sul se chiudere gli occhi o no...
per un attimo ho anche pensato di tapparmi le orecchie...
ho visto la bocca nera del tunnel avvicinarsi, sempre più veloce e sempre più vorace...
ho stretto gli occhi. sono entrata nella grande bocca nera.e ne sono uscita.
praticamente subito.
il tunnel, in effetti, è lungo una decina di metri; i quali, alla velocità raggiunta, sono durati nemmeno un paio di secondi. ho passato i successivi 3 quarti d'ora ad entrare e uscire dal tunnel: avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro...
al decimo avanti o indietro (non mi ricordo quale dei due fosse) è passato il treno, sul ponte. ho alzato gli occhi, e per rispetto verso me stessa e verso la mia infanzia e il suo mondo magico di paure e fronti affogate nei maglioni paterni, mi sono fermata e ho deciso di aspettare che passasse il treno, prima di rientrare.
ho smontato dalla mia fida cavalcatura targata decathlon. e mi sono goduta la scena, mentre assorbivo la mia dose quotidiana di idrocarburi, saggiamente seduta sul marciapiede, con i bronchi esattamente ad altezza tubodiscappamento.
nell'angolo in cui i pali di fondazione del tunnel si incicciano nella pancia del ponte, giusto al lato di quella strana palestra sospesa, ho visto la cosa più bella degli ultimi mesi. forse degli ultimi anni, forse di sempre.
mi sono mangiata le mani, per essermene uscita di casa senza quella cacchio di macchina fotografica. cretina io e tutte le volte che me la levo dalla borsa! comunque ho giurato sulla tomba di san giorgio di maggio, di tornare sul posto a fotografare!
era una di quelle scritte monocromatiche fatte, in fretta e furia, a bomboletta incerta su muro cementizio. si riconosce la mano tardoadolescenziale semialfabetizzata dell'artista che
: a) non ha mai tenuto una bomboletta in mano, e quindi smacchietta tutto e fa colare vernice da tutte le parti.
b) scrive velocissimamente per paura di essere sorpreso da qualcuno e preso a pietrate.
la frase era una delle più semplici e delle più belle che sia mai stata scritta su nessun muro di nessun ponte di nessuna periferia di nessuna città del mondo...
nella sua semplicità e stronzaggine, sono sicura di non dimenticarlo più.
tornerò a farci una foto. presto anche. prima che la pioggia acida possa mangiarsi questo piccolo pezzo di grande letteratura italiana.
per ora, ho solo questo.
tornando a casa mi sono fermata a cercare ancora un po' l'anello...
mi ero convinta che, semmai l'avessi ritrovato, lo avrei regalato alla prima miriam che mi sarebbe capitata sulla strada, prima o poi.
ovviamente, non l'ho trovato, e me ne sono andata dritta per la mia strada: pronta a dedicarmi al mio quotidiano e sistematico rito di introduzione di alcol nel mio corpo.
in foto:
i risultati di un pomeriggio di cazzeggio sul pc
e di un paio di giorni passati a riflettere sulle scolopendre
forse è il caso di trovare un amico a cassandra.
si, ho deciso... il mio millepiedi ha bisogno di una scolopendra di compagnia!
sottofondo ciclistico:
architecture in helsink i _ in case we die, wishbone
amon tobin _ foley room, ever falling
guig... senti quanto cazzo è bella l'aria, quando alla fine si decide a passare il mio treno!